Diario di un malato atipico
Corrispondenza tra S.G. (malato) e Dottor G.G. (suo medico di base, geriatra, filosofo stoico)
***
Nizza, domenica 25/01/2015, ore 02.00 circa
S.G. a Dottor G.G.
Di colpo, nel sonno, senza ragione evidente, il mio cuore si scatena. Un battere, uno sbattere sconclusionato e rapidissimo. Ci metto poco a capire cosa sta succedendo: non è la prima volta. Sveglio C. e le dico che deve vestirsi per accompagnarmi al pronto. Una grandissima ansia, gesti rapidi e poco precisi, irritabilità… Ci dirigiamo verso la macchina. Guido io perché se non guidassi sarebbe peggio ancora. A toccarmi il polso o le giugulari non si capisce più niente: più che battiti sono fremiti, palpiti. Al posto del cuore c’è un gatto scatenato. La FA mi ha di nuovo beccato.
Non lontano da dove abito c’è un grande ospedale, il CHU di Saint Roch, con un pronto soccorso. Qualcosa mi faranno.
Le ostilità cominciano allo sportello del pronto.
«Che cosa le succede?» mi chiede la signora in camice bianco.
«Sono in fibrillazione atriale» rispondo.
«La diagnosi la lasci fare al medico. Mi dica quali sono i sintomi.»
«Non è la prima volta che mi succede. Sono in FA, i sintomi sono quelli della FA: polso totalmente aritmico, rapidissimo, irrequietezza, ansia, eccetera.»
«Ha dei dolori?»
«No, non ho dolori.»
«Ma allora, cosa sente?»
«Gliel’ho appena detto.»
«Sì, ma io devo scrivere che genere di sintomi lei percepisce.»
«Allora scriva che invece di avere un cuore mi sembra di aver un gatto. E arrabbiato, anche.»
Mi guarda insospettita, scrive qualcosa, chissà cosa. La medicina comincia a sviluppare degli anticorpi contro il soggetto anomalo che transita nelle sue vene.
Dico a C. di tornare a casa perché nostra figlia B. è sola. Al parto mancano ancora 10-15 giorni ma ogni tanto ha delle strane contrazioni.
Un infermiere taciturno mi carica su una barella e mi spinge attraverso brutti corridoi fino a raggiungere un grande stanzone con vetrate, dove stazionano dozzine di barelle. Le barelle arrivavano a getto continuo e vengono smistate: o lungo i muri (codici verdi a bianchi) o in stanzette senza porta sul perimetro dell’open space (codici gialli o rossi, tra cui il mio: il cuore gode di un trattamento di favore). Altre barelle, dopo gli esami di routine, partono verso i reparti interni all'ospedale.
In quel luogo, sostenuto da un cuore impazzito oltre i 170 bpm, ho potuto toccare con mano lo strapotere del sesso debole sul sesso forte.
A bordo di ogni barella un uomo, sovente silenzioso, a volte gemente, altre volte rantolante. Accanto a ogni barella, trotterellante al ritmo abbastanza teso dei barellieri, una donna, un esponente del sesso debole. Nata e programmata per sopravvivere al suo compagno del sesso forte.
Le barelle entrano ed eseguono strani balletti nell’open space del CHU di Saint Roch: su ogni barella un potenziale, futuro morituro; accanto alla barella una potenziale, futura vedova.
Ho visto una sola donna coricata in quel mare di barelle, non lontana dal mio loculo. Ogni tanto si lamentava, ma non era un gemito. Protestava perché era lì su quella barella da più di cinque ore. «È in-con-ce-pi-bi-le» diceva, con un timbro più da vedova indispettita che da moritura. E l'infermiere le rispondeva: «Signora, siamo tutti molto occupati, ci sono casi ben più gravi del suo». Lei brontolava un po’, poi alla fine si arrendeva con un «Però, insomma!»
Dopo lo studente del quarto anno (un Externe come si chiamano in Francia; si fanno sistematicamente tutti i reparti ospedalieri, comprese le guardie; ricevono 5-600 euro al mese) che mi ha fatto anche lui diverse domande sulla sintomatologia, arriva finalmente il grosso calibro: l’Interne.
«A quanto pare lei ha un gatto al posto del cuore» mi dice sarcastico. È venuto per difendere la Medicina dagli sgarbi di un “indocile”. «Adesso cerchiamo di calmarlo, il gatto» e mi fa vedere una fiala.
«Cosa c’è lì dentro?»
«Una cosa che la farà stare meglio.»
«Magari mi dicesse il nome... Le medicine hanno tutte un nome.»
Lascia cadere il nome dall’alto, sicuro di chiudere il discorso: «Amiodarone».
Rispondo: «Ma lei è sicuro che il Cordarone non ha controindicazioni per uno come me, che è stato trattato con Iodio radioattivo nel quadro di un ipertiroidismo da nodulo tossico iperfunzionale?» Il mio solito viziaccio.
L’Interne accusa il colpo, esita, poi mi dice: «Se è così devo consultare il cardiologo». Poco dopo ritorna con la stessa fiala. «Il cardiologo dice che l’Amiodarone va bene per lei.»
«Faccia pure.»
Mette la fiala nella flebo e se ne va. La frequenza cardiaca non diminuisce. Ogni tanto viene, guarda il monitor e scrolla la testa. Il gatto non si lascia impaurire dall’Amiodarone.
Passa un po’ di tempo, sono solo nel loculo, il cuore tra 150 e 170 bpm. Viene il sonno, forse anche un po’ di perdita di conoscenza.
Nel dormiveglia, mentre il Cordarone continua a gocciolare nelle mie vene, sento C. che mi parla. “Ecco la vedova” penso, “la prossima vedova”. Mi dice che sta portando B. all’ospedale. In quel momento io credo che B. volesse venire a trovare me in ospedale. Dico: «No, no, lasciala a casa, torna a casa».
«Ma no, cosa pensi, sto portandola in clinica, sta per partorire!»
Io sono più di là che di qua, ma capisco che quella notte sta succedendo qualcosa di poco comune. Dunque, C., dopo aver accompagnato il marito al pronto, sta per accompagnare nostra figlia alla maternità di una clinica nella zona alta della città. E il tutto con un cane che non può entrare né di qua né di là.
Perdo il contatto con la moglie, la figlia e il cane.
Ogni tanto passa l’Interne, scontento del risultato della fiala. A un certo punto mi dice: «Ho contattato il cardiologo, e lui vorrebbe che la trasferissimo al reparto di cardiologia di Pasteur».
Idea: «Invece di trasferirmi alla cardiologia di Pasteur, perché non mi trasferite alla cardiologia della Clinique Saint George?»
«Perché?»
«Perché mia figlia sta per partorire là, io non sarei lontano, e appena fuori dalla FA potrei occuparmi del cane.»
L’Interne mi fa una proposta: io chiedo di essere dimesso, loro accolgono la mia richiesta con entusiasmo, dopo di che prendo un taxi e vado dove mi pare.
Ecco fatto, sono libero. Ho sempre la FA, sempre un gatto al posto del cuore, alla barba dell’Amiodarone. Sono in un taxi che mi porta a casa. Lì, prendo la nostra seconda macchina e me la guido fino alla Clinique Saint Georges. Direzione: Urgences.
Non ricordo più cosa succede, né cosa dico: qualcosa che mescola la FA al cuore, al gatto, al mio cane in macchina, a mia figlia che sta per partorire con quindici giorni di anticipo e a mia moglie che dovrebbe essere da qualche parte, nei paraggi.
Rieccomi in barella, ma la stanzetta è più pulita, i dottori sono più “Dr House”. Ripeto tre volte la storia della notte precedente.
Poco dopo arriva IL CARDIOLOGO DI GUARDIA. È un cardiologo che ha deciso di fare solo delle guardie. E ha ragione: quello lì, meno fa, meno danni fa.
È un bell’uomo, estremamente virile, sui cinquanta, un camice turchese da cui sporgono stetoscopi e altri attrezzi. Parla a voce molto alta. «Dunque è lei quello che vuole essere ricoverato in cardiologia?»
«In realtà non lo so nemmeno io. Ero al pronto del CHU di Saint Roch e quelli volevano ricoverarmi alla cardiologia di Pasteur. Io ho preferito venire qui perché mia figlia sta partorendo proprio qui in questa clinica, e mia moglie è lì con lei.»
Si siede vicino a me, mi dice parlando fortissimo che lui non mi ricovera in cardiologia, che per una semplice FA lui non ricovera nessuno. Il problema, secondo lui, era un altro. E qua mi dice: «Ah, mon pauvre ami! ah,povero amico mio! Ma si rende conto in quale ingranaggio è andato a mettere le dita ? Il cordarone ! Ah, ah, ah! Il propafenone! Ah ah ah! Lei tocca il suo cuore da una parte e lo mette fuori quadro dall’altra. E sarà sempre peggio. Per fortuna lei è ancora in FA parossistica, ma si sta già rovinando l’atrio sinistro. Più prende medicine, più il quadro si complica! Ma lei, mi dica, si rende conto (dans quel merdier) in quale merdaio è andato a cacciarsi? Forse lei non se ne rende nemmeno conto. C’è una sola possibilità per lei: le radiofrequenze. Ma l’intervento è difficile, lungo, delicato, pericoloso, e può uscirne fuori in condizioni ancora peggiori di quelle in cui si trova adesso. Io so di cosa parlo. Io ho avuto una ablazione circa un anno fa.»
«E allora, come è andata?» chiedo io.
«Benissimo, adesso non ho più niente». Si tocca il collo: «Ritmo sinusale perfetto! Ma non succede a tutti. Ce ne sono che entrano con una FA e ne escono con un flutter. Altri con una fistola tra l’esofago e il cuore… ah, ah, ah!! Ah, mon pauvre amis, ah mon pauvre amis!»
«Ma lei dove l’ha fatto l’intervento?»
Mi guarda sarcastico: «Non glielo dico. Se lo trovi lei!»
Era veramente fiero di essere riuscito a superare un’ablazione senza effetti avversi e sinceramente sperava che io mi rompessi i denti. Ci sono delle persone così fatte.
Quando poi è partito, io ho chiesto al dottore delle urgenze chi era quel tipo. «È un tipo strano» mi risponde.
«Ma come si chiama?» chiedo io.
«Il suo nome lo trova nelle carte che le darà la clinica. È un cardiologo che ha deciso di fare solo delle guardie.»
E ha ragione, penso. Se volesse farsi una clientela con il carattere che si trova!
Dopo un po’ vedo arrivare C. al pronto, che mi dice: «È nata».
Mi vesto, pago, esco in piena FA (ormai da 12 ore).
Non ricordo più cosa faccio, né dove vado. Qualche ora dopo, a fronte di una calma interna ritrovata, mi tocco il polso e sento un ritmo sinusale. Per stavolta è di nuovo finita.
Ecco, Dottor G.G., volevo raccontartela. Quando mi era successo mi aveva fatto ridere. Tutte quelle coincidenze, tutti quei tipi strani, quei personaggi…
E il malato… il paziente che voleva sentirsi ad ogni costo padrone della situazione, ma fino a un certo punto… perché poi la realtà prende il sopravvento. Le FA non sono delle balle, bisogna curarsi, ma come? Sì, certo, c’è l’intervento di ablazione. Lo praticano da anni. Sì, certo ci sono dei rischi, ma ci sono dei rischi anche in un banale intervento di ernia. E quel cardiologo di guardia... Un matto, certo. Penso che sia considerato come un matto da tutti. Però quello che mi ha detto non è completamente assurdo. E Epitteto, cosa penserebbe? Andrebbe a farsi spazzolare l’interno del cuore da dei cateteri che bruciano quello che toccano? O si terrebbe la FA, cercherebbe di farla diventare cronica, più lenta. Ma allora, vuol dire che avrebbe dato il giro di boa, che sarebbe veramente entrato nella vecchiaia con tutti i suoi acciacchi. E in fin dei conti, perché no? Tanto se non è adesso sarà fra due anni… o cinque. E allora? Io, nel frattempo, ho riservato un bloc opératoire il 19 maggio alla clinica Princesse Grace di Monaco. Mi hanno detto che lì fanno quegli interventi a manetta…
Vedi, Dottor G.G., so bene che in genere i malati sono più “pazienti” di me. Si lasciano guidare. Non vogliono ficcare il naso. Dicono: «Il dottore mi ha detto che… Il dottore mi ha ordinato di…».
Il problema non è “il dottore”, il problema è “la Medicina”. La Medicina è un Leviatano, e più passano gli anni più diventa smisurato.
Bene, chiudo. È evidente che non mi aspetto che tu mi risponda. Il mio è uno sproloquio, una riflessione, uno sfogo, un filosofare. Il tema è quello della medicina, della vecchiaia, degli acciacchi. Non esiste tema più orizzontale. Ciao. Fra poco rientro in Italia: la silhouette possente del Mondolé ha sempre avuto su di me un effetto benefico. Lo avrà forse ancora stavolta. Speriamolo. Ma sempre di meno…
Mondovì, 18/02/2015.
Dottor G.G. a S.G.
Con un po’ di ritardo ti rispondo. Per prima cosa congratulazioni per l'evento nascita, il miracolo della vita ci sorprende e ci rallegra sempre... l’orizzonte famigliare si amplia, il divenire si incarna, la nostra capacità di adattamento è messa alla prova.
Per quanto riguarda l’aritmia o meglio le aritmie, il vissuto di malattia, l’arte medica, i medici... il discorso si complica.
La vita è breve, l’arte vasta, l’occasione incerta, l’esperimento malcerto, il giudizio difficile, come ci ha insegnato Ippocrate e non dovrei aggiungere altro, ma i gatti che io conosco e ho il piacere di frequentare, il cardiopalmo lo farebbero passare, di certo non lo evocano. Comunque sia, noi medici siamo come i cani da tartufi, il fungo ipogeo lo vogliamo scovare attraverso la ricerca, l’anamnesi, inorridiamo all’idea di trovarlo già affettato. A questo punto arriva Epitteto che ci ricorda come nostro compito precipuo sia recitare bene la parte che ci è affidata di volta in volta. Molti della mia confraternita dimenticano poi che spesso compito del medico è intrattenere il paziente mentre la Natura fa il suo corso. Quanto alle Statine, che tu disprezzi, nonostante certa letteratura avversa sono benemerite per i loro effetti pleiotropici ormai ampiamente dimostrati, sempre in prevenzione secondaria.
La sto facendo lunga, VALE! se puoi…
G.
Nizza, 21/03/2015,
S.G. a Dottor G.G.
Nella tua ultima mail hai detto molte verità. Eccone una selezione.
· La vita è breve.
· I gatti che ho il piacere di frequentare, il cardiopalmo lo farebbero passare, di certo non lo evocano.
· Compito del medico è intrattenere il paziente mentre la Natura fa il suo corso.
Tralascerei la prima.
Per la seconda non posso che essere d'accordo con te. Un gatto come il tuo, messo sulla pancia ti fa passare il mal di pancia, messo sul cuore ti fa passare il batticuore.
La mia immagine (al posto del cuore mi sembra di avere un gatto) si riferiva invece a un gatto giovane, selvatico, abituato a una vita di libertà assoluta, che qualche genio malefico avrebbe invece confinato in una ristretta gabbia toracica. Cerca di immaginartelo.
Quanto alla terza verità, che poi è una parafrasi della prima, essa esprime esattamente quello che stai facendo. E noi sei l'unico.
Tre giorni fa, A Mondovì, la notte tra il 17 e il 18, tutto un personale medico e paramedico – con l'ausilio di fastidiosissime attrezzature video e audio – ha egregiamente espletato il compito di intrattenere il paziente sottoscritto mentre la Natura faceva il suo corso. E cioè che a una certa età, al di là di un certo diametro dell'atrio sinistro, a certi pazienti più sfigati di altri, il cuore va in corto circuito, scarica, scintilla, perde colpi, va a tre, a sei, a nove, va fuori di giri, picchia in testa, singhiozza, strappa e rischia di grippare. Visto dall'esterno, un paziente siffatto presenta tutti i sintomi che avrebbe se gli avessero inserito nella gabbia toracica un gatto giovane, selvatico e inviperito.
Me ne hanno fatte di tutti i colori. Stavolta ci hanno provato con la Flecaina (che avrebbe dovuto addormentare il gatto inviperito) ma la Natura, testarda, continuava a fare il suo corso. Ci hanno riprovato, minacciando perfino il gatto di dargli una scossa elettrica che lo avrebbe stronato definitivamente. Poi alla fine, verso le 9 di mattina, la Natura ha deciso di riprendere il suo corso e di concedermi di nuovo qualche giorno di ritmo sinusale.
Però: come è più bello, e più famigliare, e più accogliente, il Pronto di Mondovì rispetto ai due Pronti che ho visitato a Nizza, circa due mesi fa, in una sola notte!
È quasi un piacere. Potrebbe diventare un'abitudine, una dipendenza.
Ave.
Saint Laurent sur Var, 25/5/2015 – Intervento di ABLAZIONE alla Clinica Tzank
Nizza, 06/06/2015
S.G. a Dottor G.G.
Per parlarti del mio cuore vorrei, innanzitutto, proporti due metafore.
“Ritmo sinusale”
Un grosso cavallo da tiro, dopo aver lavorato nei campi tutta la giornata, rientra alla stalla su una stradina acciottolata: Clàp! Clàp! Clàp! Clàp! Un rumore ritmico, secco, perfettamente coerente, gradevolissimo. Vivresti in sua compagnia tutta la vita.
“Episodio di fibrillazione atriale parossistica (150-170 bpm)”
Siccome la metafora del gatto non ti è piaciuta, restiamo nei cavalli. 6-7 puledri corrono sfrenati su un prato di erba rasa, su supporto di terra abbastanza consistente. Sfrecciano in formazione compatta, ma all'interno della formazione vige l’anarchia. Il rumore non è più clàp, clàp, clàp e nemmeno clìp, clìp, clìp. È un rumore ovattato, incoerente, rapidissimo. Rotto solo dalla fastidiosa sirena del monitor quando la frequenza dei battiti supera i 150.
La corsa dei puledri dura dalle cinque alle dieci ore. Dopo di che, senza transizione, si ripassa al ritmo di cui sopra.
Ciò detto, eravamo rimasti con le mie lamentele e il tuo prudente: “La vita è breve, l'arte vasta, l'occasione incerta, l’esperimento malcerto, il giudizio difficile”. Un distillato di saggezza. Ma la macchina da guerra della cardiologia interventistica era già in moto. Già schiere di cardiologi mi spingevano verso l’uscita, l’unica, secondo loro: episodi di FA sempre più frequenti (ultimamente uno al mese), resistenza ai farmaci, cuore sano tranne una moderata dilatazione dell'atrio sinistro, età rispettabile ma ancora gestibile: insomma, il paziente ideale.
Ecco fatto. Mi offro in pasto alla Facoltà di Medicina.
Mi rincoglioniscono, mi addormentano, mi intubano, mi invadono, mi transesofagano, mi frullano, mi sfrullano, mi transettano, mi sfregiano di cicatrici interne. Per fortuna, prima mi avevano fatto firmare tutta una serie di dichiarazioni à décharge: per cui tutto ciò che mi sarebbe potuto accadere durante e dopo l'intervento era mia responsabilità, mia scelta, mia avvertenza e mio deliberato consenso. Insomma: cazzi miei.
Mi svegliano, mi monitorano. Normale prassi ospedaliera. Passa una prima notte.
Durante la seconda notte, durante il sonno, ecco sbucare da chissà dove i cavallini. Sono piccoli e corrono come matti tra il cuore e il collo. Suono all'infermiera. Arriva una ragazzina: «Cosa c'è?» «Sono in fibrillazione»
«Vado a dirlo all'infermiere». Poi più niente.
Risuono. Ri-ragazzina. «E allora?»
«L'infermiere dice che non è possibile, che se fosse vero l’avrebbe visto/sentito alla stazione dei monitor del reparto».
Io dico alla ragazzina: «Mandami l'infermiere».
Niente, non vuole venire.
Mi alzo e vado in corridoio dove sta l'infermiere, un ragazzo giovane, alto, di nome Madi, estremamente irritato dai pazienti di quella notte.
«Che cosa fa lei qui?»
Volevo dirgli: se Maometto non va alla montagna, la montagna va a Maometto. Poi non glielo dico. «Sono venuto a dirle che sono in fibrillazione e che vorrei mi chiamasse un cardiologo» (sono in reparto cardiologia).
«No, lei non è in fibrillazione. Lei è in ritmo SI-NU-SA-LE» dice così per chiudermi la bocca con la parolona.
Io gli rispondo che so ancora distinguere il passo cadenzato di un cavallone da tiro su acciottolato, dalla corsa sfrenata, ma leggera, di 6-7 puledri su erba rasa. E poi che i puledri erano tra il cuore e il collo, e che, se proprio non voleva disturbare il cardiologo, che venisse almeno lui, al mio letto, con l’ECG portatile, che avrebbe visto subito.
Vituperi, minacce: «Lei è un emotivo, si vede subito, vada subito al suo letto, che quando posso passo».
Rientro nel mio loculo ma lo sento ancora inveire: «Monsieur vuole il room service! Te lo do io il room service!». Allora torno da lui e gli dico che se non arriva con l’ECG, io, con le mie stesse gambe, vado tre piani di sotto, al pronto soccorso cardiologico, e poi, se non muoio, scriverò una letterina all’ospedale, perché a me piace scrivere delle letterine. E lo faccio benino.
Un quarto d'ora dopo arriva in camera, incazzatissimo, sbattendo l’ECG contro la porta. La ragazzina mi incolla pieno di cerotti, insomma: un ECG, finalmente.
Lui mi urla «Metta il dito qui!» e mi presenta una molletta per i panni. Mi volta la schiena, infuriato. Sento il brusio del pennino sulla carta. Sento il silenzio di Madi. Altro tracciato, altro silenzio. Poi la ragazzina gli si accosta e gli dice sottovoce «Com’è?» e lui, piano, sperando che io non senta, o che non capisca: «È in FA».
«Ah, sono in FA!» gli dico. «Ma che sorpresa! Ma non mi aveva detto che era im-pos-si-bi-le, che ero in ritmo SI–NU–SA–LE?»
Scambio di battute acide: «I pazienti che si agitano vanno in FA». Vorrei dirgli: «Ma vai a ...», ma in francese non si dice. Insomma, in fin dei conti mi sono fatto una seconda notte dopo l'ablazione in FA parossistica 150 - 170.
«Comincia bene» mi dico.
Rientro a casa. Finalmente! Sto relativamente bene. Sono quasi normale, nessun dolore, nessuna sequela, tranne un senso di oppressione toracica dovuto alle ustioni dell’ablazione. Vado a letto e mi addormento. Verso le 2 di notte, chi arriva? I cavallini! E dagliela. Ma non ero io che mi ero fatto bruciare per non sentirli più, i dannati cavallini?
Incazzatissimo, prendo 100 mg di Flecaina (più i 100 che avevo già preso in serata) e aspetto il cavallone. Frullano, corrono, sembrano felici, i puledri. Poi mi addormento. Alle 5 mi sveglio: sono sempre lì, più vispi che mai. Altri 100 mg? No, pazienza. Mi riaddormento. Alle 7 mi sveglio: Clàp! Clàp! Clàp! Clàp! Un rumore ritmico, secco, perfettamente coerente, affidabilissimo.
Passa il sabato mattina e nel pomeriggio: eccoli, eccoli, i destrierini in corsa. Ma poi tutto ritorna normale nel giro di pochi minuti.
La notte seguente: niente. Uffa!
La notte tra domenica e lunedì: rieccoli! In piena forma. Stavolta avevo uno scopo: arrivare fino alle 8 del lunedì mattina con i cavallini nel collo e insieme a loro presentarmi alla cardiologia e vedere il chirurgo che mi ha operato.
Arrivo e dico: «Subito un ECG!».
Me lo fanno: ah, finalmente! I cavallini fotografati, folgorati dall'istantanea: niente onda p! Ci sono, sono loro, proprio loro. Il dottore non si lascia impressionare: «È normale», mi dice.
«È normale un par de bale» gli dico in italiano sperando che non capisca.
«È normale» ribatte.
Tutto è normale dopo un'ablazione. Bisogna aspettare tre mesi. Solo dopo tre mesi si può considerare il successo o l'insuccesso dell'intervento.
Io ero sempre sotto cavallini.
Gli dico: «E adesso, che fare?»
Parla all’infermiera che arriva con una scatola di Cordarone. Ne estrae cinque compresse da 200 mg l’una e mi dice: «Butta giù».
Ero ancora alla terza quando guardo il monitor: 52, 52, 52, 52....Mi tocco le giugulari : Clàp, Clàp, Clàp,Clàp, Clàp, Clàp, Clàp, Clàp, Clàp. Se ogni passo è un metro, sono 52 metri al minuto, 3120 metri all'ora: 3,12 Km all'ora. Che bella velocità! Il ritmo del paradiso.
Essersi fatto bruciare l’interno del cuore ed essere in balia del Cordarone.
Adesso sono più di tre notti che non fibrillo. Il doc mi ha detto di non più prendere il Cordarone. In cambio mi ha aumentato la Flecaina L.P.: 200 mg alla sera, sperando di tenere i cavallini a freno. Ma io continuo a prenderne 150. Non mi piace dargliela vinta.
Ecco, caro Dottor G.G., il rapporto scientifico e stringatissimo, del decorso post-operatorio di un intervento di ablazione eseguito sul Signor S.G., suo paziente, che ha accettato di darsi in pasto alla Facoltà di Medicina.
Ciao e magari ci vediamo.
Mondovì, 09/06/2015
Dottor G.G. a S.G.
Narrazione colorita ed efficace, metafora equina che attinge alla semeiotica classica, qualche punta di animosità che non favorisce il lavoro del Sistema Vagale che pure dovrebbe essere lisciato…
La rispettabile scelta dell’ablazione va lasciata sedimentare nel fiume del tempo, come scrisse B. Grazian: “Non c'è miglior rimedio allo scompiglio che il lasciar correre, prima o poi finisce da solo...”
Per quel nulla che vale la mia esperienza (pura aneddotica per la Cultura Scientifica Ufficiale) più o meno la metà dei casi va in un modo, l'altra nel modo opposto. Medicus curat, Natura sanat.
Non posso risparmiarti una chiusa botanica, questa volta attingo alla saggezza araba: “Ogni volta che ti succede una disavventura, pianta un albero; presto l'ombra di un boschetto ti rallegrerà”.
Vale!
Nizza e Mondovì, 28/05/2015 - 13/03/2018
il Clàp Clàp dei cavalloni da tiro non mi ha più abbandonato un momento. Scomparsi i cavallini, i destrierini, il nervo vago teso come una corda di violino. Mi hanno fatto un bel lavoro. Speriamo che duri.
Nizza, fine 2018, due altre FA.
I chirurghi interventisti stavano già affilando gli aghi e scaldando gli elettrodi per una seconda ablazione, quand’ecco scendere dal cielo un cardiologo atipico, le Docteur E., noto a tutti nella zona. Piccolo, mobile come un ermellino, perennemente in ritardo di diverse ore sui suoi rendez-vous, che tutti gli perdonano per la sua indiscutibile competenza. Io la sento mentre mi fa l’eco cardio. In quel momento, concentratissimo, lui non sta guardando le immagini, in quel momento lui è dentro il mio cuore.
Gira e rigira, alla fine mi dice come se parlasse tra sé e sé: «Mi ha detto che le FA le succedono sempre di notte?»
«Sì.»
«Allora faccia così. Vada da questo dottore (e scarabocchia un nome su un biglietto) e gli dica che lo mando io.»
Nizza, giugno 2022
Lo pneumologo mi dice che io faccio molte apnee notturne e che mi consiglierebbe il CPAP.
Fatto.
Dopo alcuni mesi di addestramento, quando indosso la mascherina del CPAP tutte le ansie si spengono. Mi addormento cullato dal dolcissimo fruscio come se mi addormentassi nelle braccia di una mamma.
Da quel giorno ad oggi più nessuna FA. E ho anche evitato un secondo intervento di ablazione. Speriamo che duri.
Nizza e Mondovì, giugno 2022 - maggio 2025
Per il momento, dura...

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